Costruire una squadra all’interno del proprio campo lavorativo non è semplice, soprattutto se sei giocatore-allenatore-dirigente. Selezionare nuovi “giocatori” da inserire all’interno della tua squadra, senza vederli giocare o poterli conoscere in modo più approfondito, risulta difficile.
Innanzitutto fare squadra ti permette di non essere solo, ma soprattutto di “sperare” insieme.
Per questo motivo ho scelto fin dall’inizio di lavorare in uno spazio “co-working” e non da solo. L’influenza positiva quotidiana che puoi avere in uno spazio di questo tipo ti da molta energia e “speranza”.
La qualità delle persone è determinante. La qualità è dovuta dalla generosità di tutti, dal rispetto delle cose e delle persone. Fare squadra è difficilissimo, per farlo è importante avere persone intelligenti ed entusiaste, che non siano eccessivamente individualiste, ma si mettano a disposizione del gruppo e siano in grado di capire che il gruppo non è solo quello presente nel “campo di gioco”, ma è anche quello con cui ti confronti quotidianamente.
Questa sinergia è possibile quando una squadra è connessa umanamente e psicologicamente, un gruppo che abbia un obiettivo comune. L’obiettivo è fondamentale, solo così è possibile impostare una strategia comune e attivare un “etica del collettivo”, ovvero un senso di appartenenza comune: tutti corrono e lottano per il compagno.
Questo non significa che il merito viene annullato, anzi, il merito è una componente importante per far emergere le persone così come la conoscenza dei propri valori. Prima però viene la squadra e poi il singolo. Ma come dev’essere il singolo?
Deve avere passione per quello che fa, essere generoso, deve mettersi a disposizione di un collettivo. Se poi ha anche talento è tutto di guadagnato. Infatti un talento che lavora in solitudine non avrà mai la capacità, la forza e la “speranza” di un gruppo. Avvantaggiarsi del lavoro di tutti fa crescere anche le persone più talentuose.